Tonino
Sei aprile millenovecentoottantasei, sipario. Nel senso di “giù il sipario” su una di quelle stagioni in cui dai e dai non ti funziona nulla e non ti resta che rassegnarti.
Fu retrocessione, matematica già a diverse giornate dalla fine, fu un peccato, perchè quella squadra dopo gli squilli di tromba di Febal e della prima Mulat sembrava pronta per un ulteriore salto di qualità. Un gruppo italiano consolidato, con l’esperienza di Gelsomini, Cordella e Lottici e l’entusiasmo di uno Sbaragli in rampa di lancio, e due americani che almeno sulla carta non avrebbero dovuto far rimpiangere i giganti d’ebano delle ultime stagioni, da Lee Johnson ad Antonio Costner, da Rudy Woods a Mark Smith.
Due americani che diventarono prima tre, con Ozell Jones a sostituire Kenneth Perry e poi uno solo, quel matto di Eugene McDowell, l’unico rimasto in città fino all’ultima giornata.
Alla penultima, quel 6 aprile 1986, dunque c’era. E c’erano anche la Granarolo Bologna di coach Sandro Gamba, di Renato Villalta e della buonanima di Joe C. Meryweather, 11^ scelta assoluta degli Houston Rockets nel 1975. In panchina per gli azzurri un giovanissimo Roberto Di Lorenzo, che aveva sostituito l’esonerato Pentassuglia e che quel pomeriggio, all’ultima gara casalinga, lanciò in quintetto Antonio Fuss, friulano di Barra Bonita che a 25 anni aveva già vissuto almeno due vite. Dal Brasile a Fuorigrotta passando per Udine, si era portato dietro 220 cm da guinness.
Era alto “Tonino”, due anni prima su consiglio di Warren Legarie, uno dei primi manager americani a sbarcare in Italia, Napoli lo mandò al Big Man Camp di coach Pete Newell, a Los Angeles, e con lui c’erano Kiki Vandeweghe e Greg Kite. Giganti del basket, ma più bassi di lui.
Era alto dicevamo, forse troppo. Sempre, suo malgrado, al centro dell’attenzione.
Napoli, città invadente ma sincera, provò più volte a far breccia nel cuore di quel ragazzone dal carattere schivo, che aveva ritrovato il suo Brasile a Monte di Procida e che girava in una Fiat 124.
“Tonino era un ragazzo riservato, ma di gran cuore. Taurisano lo volle fortemente per il suo grande potenziale, umano e tecnico. Napoli era il posto giusto, città schietta e diretta, e lo adottò sin dal primo giorno. Nonostante uscisse dalla panchina era diventato un idolo dei tifosi, che gli volevano davvero bene”. (Roberto Di Lorenzo)
Quel pomeriggio, il 6 aprile del 1986, segnò 21 punti e aggiunse 8 rimbalzi ed una prestazione travolgente per un inatteso successo sulla Virtus. Il quinto dell’anno a fronte di ben venticinque sconfitte.
Fu la miglior prestazione “napoletana” di Fuss, la migliore su 174 partite giocate con la maglia azzurra dal 1983-84 all’89-90, dalla Febal alla Paini, da Lee Johnson a Cozell McQueen.
Centosettantaquattro partite e 603 punti, muito obrigado Tonino, grazie di tutto.