Open/Close Menu Storie di Basket Napoletano

Di Mark Smith si dice sia un fenomeno vero. Coach Brad Underwood, che l’ha reclutato ad Illinois battendo in volata Duke, Kentucky, Michigan State e varia aristocrazia collegiale lo ha paragonato a Jason Kidd. Sarebbe l’Illinois Mister Basketball 2017: nel 2016 era considerato un clamoroso prospetto per il baseball ma ha deciso di cambiare sport corroborando la sua scelta con un’ultima stagione ad Edwardsville HS da 22 punti, 8.2 rimbalzi e 8.4 assist. L’impressione è che a meno che non sia di passaggio (il famigerato one-and-done pre NBA), tra un paio d’anni il suo nome potrebbe già finire nel libro dei primati dei Fighting Illini. Bisognerà metterci un asterisco accanto però, o un II a caratteri romani.

Perché su quel libro un Mark Smith c’è già, e dopo aver prodotto 1653 punti in orange&blue fu scelto dai Bucks nel 1981, vide Napoli e ci tornò dopo aver vinto una Coppa delle Coppe con il Barcellona e chiuse la sua carriera a Rimini. E’ morto nella sua Peoria nel 2001, sconfitto dai demoni dell’alcol e della droga con cui aveva combattuto una vita intera. Troppo breve.

Partiamo da qui, dalle 21.45 di mercoledì 27 giugno 2001. Da quando viene staccata la spina del respiratore che lo teneva in vita. Dalla fine, la fine di un tormento. L’alcol e il crack avevano lentamente compromesso stomaco, pancreas, reni e cuore. A sentire il fratello maggiore Duane anche il cervello. Mark non ragionava più, negli ultimi 5 mesi era stato ricoverato al St. Francis Medical Center 6 volte. Il suo corpo si stava ribellando ad anni di abusi.
Gli ultimi in particolare erano stati drammatici, passati mollando un lavoro dopo l’altro, guardando fisso negli occhi chi gli diceva che quella roba l’avrebbe ucciso. Un discorso che a Mark Smith in circa 20 anni avevano fatto tutti, anche Eddie Johnson, suo compagno ad Illinois.

 “Era un giocatore migliore di me – ha detto Fast Eddie, ricordando Mark – e lo sapevamo entrambi. Ma a lui non interessavano numeri e statistiche, voleva solo giocare. Gli ho detto tante volte che se fosse stato lontano dalle cose che lo hanno lentamente ucciso sarebbe diventato un giocatore da 12-15 stagioni NBA. Aveva talento ed era un ragazzo eccezionale… ma non ce l’ha fatta”.

Mark Smith in maglia Napoli Basket

smiths-signs-illinoisMa avrebbe potuto, eccome se avrebbe potuto. Anche questo gli dicevano tutti, sin dal liceo. Con i cavalieri della Richwoods High School allenati da coach Hammerton vinse 83 delle 89 partite giocate dal 1973 al 1976. Se oggi non si sente parlare di quella Dynasty è solo perché a fronte di quel 93.2% di vittorie la bacheca rimase vuota. E già perché 2 di quelle 6 sconfitte arrivarono in una finale per il titolo (’74 e ’76, entrambe dopo tempi supplementari) una terza in semifinale (’75). Roba da non dormirci la notte, ma che basta e avanza a Mark (con i 1279 punti realizzati) per ottenere una borsa di studio ad Illinois. Programma giovane, ambizioso, che punta forte sulla duttilità di Smith sin dall’anno da Freshman. Già, duttilità: siamo a cavallo tra i ’70 e gli ’80, Magic e Bird sono pronti a rivoluzionare gioco e concetti ma nel resto degli Stati Uniti (e probabilmente del mondo intero) la pallacanestro si tiene strette le sue certezze. L’ala piccola e l’ala grande ad esempio sono due ruoli distinti e distanti. 40 anni dopo viviamo l’epoca degli “stretch four”, ai tempi c’era Mark Smith, capace di giocare sia da TRE che da QUATTRO, sia in attacco che in difesa.

Sa fare tutto Smith, nel ’78 conduce i Fighting Illini nei recuperi (1.4), nel ’79 è il primo dei suoi per punti segnati (13.5), assist (4) e rubate (1.8) venendo eletto MVP stagionale e miglior difensore, nell’80 è il migliore nelle percentuali dal campo (55%), nell’81 comanda nelle percentuali ai liberi. Fanno in tutto 75 vittorie (contro 46 sconfitte) in 4 anni, la prima qualificazione al Torneo NCAA (eliminati da Kansas e Rolando Blackman nelle Sweet 16, per Smith ci sono 10 punti, 6 rimbalzi e 5 assist) e la prima tripla doppia nella storia di Illinois fatta registrare contro Minnesota: 19 punti, 13 rimbalzi, 10 assist. Nell’album dei ricordi ci mettiamo anche una storica vittoria sui futuri campioni di Michigan State (si legge Earvin Magic Johnson) all’Assembly Hall, davanti a 16.209 spettatori. Quattro anni dicevamo, i 4 anni che hanno messo i Fighting Illini sulla mappa.

smith-illinoisE che lanciano Smith. verso il draft NBA, quello del 1981. Eddie Johnson viene chiamato al secondo giro (#29) da Kansas City, Mark finisce ai Bucks con la #67, alla fine del terzo giro. Il primo segnerà 19.202 punti in circa 1200 partite tra i PRO, il secondo nella NBA non ci giocherà neanche un minuto. E’ finito al posto sbagliato, nel momento sbagliato, con l’allenatore sbagliato. Il posto è Milwaukee, che prima di lui sceglie il pivot Alton Lister e Howard Wood, e che in quel momento ha già in arsenale Pat Cummings e Bob Lanier. L’allenatore è Don Nelson, uno che i rookie al massimo li mandava a comprare il caffè (e ha continuato a farlo per 30 anni). Risultato? I 213 cm di Lister furono piazzati in fondo alla panchina, Wood e Smith furono invece tagliati senza convenevoli. Mark Smith vede stracciare il suo “tagliabile” firmato in agosto la sera del 20 ottobre 1981. Gli tocca guardarsi attorno per una carriera da professionista “overseas”, oltremare. Che per gli americani è l’oceano atlantico. Lui però parte dal Sud America, precisamente dal Colon di Montevideo, Uruguay. Poi passa ai Coquis, franchigia CBA sperimentalmente piazzata in Portorico: in panchina c’è Herb Brown, la squadra vince la Eastern Division e ferma la sua corsa solo in semifinale, dopo una contestatissima sconfitta (105-106) rimediata dagli Albany Patroons di coach Phil Jackson. Smith segna 33 punti (22 nel primo tempo) con 14/18 al tiro e aggiunge 10 rimbalzi. Vani.

lee-and-rudyFinisce nel secondo quintetto della CBA, che all’epoca è il primo serbatoio della NBA e principale campionato di riferimento per i GM di mezzo mondo. Napoli nel 1981 ci ha pescato Lee Johnson (dai Rochester Zeniths…era già stato a Rieti) che con Rudy Woods formerà per due stagioni quella che è stata probabilmente la coppia USA più forte mai vista da queste parti, con a bilancio una promozione in A1 e una contestatissima eliminazione ai play off scudetto per mano della Virtus Bologna. Nell’estate del 1984 però Lee prende il primo volo per Tel Aviv, Rudy se ne torna negli States (in Cba…) e l’ingegnere va di rivoluzione: riporta a Napoli Tonino Zorzi, Re di Coppe tra il 69 e il 70, firma con tempismo perfetto il 20enne Maurizio Ragazzi (in concomitanza con l’introduzione della linea dei tre punti) e punta nel College Basket il corpulento Antonio “Tony” Costner da St.Joseph, pivot scelto e poi tagliato dai Washington Bullets. Il Paron vuole piazzare il suo “sederone” al centro dell’area, il management del giocatore però rilancia: “… ve lo mandiamo, ma prendete anche Mark Smith”. Aggiudicati entrambi, il secondo per circa 20mila dollari. Regalato.   Massimo Sbaragli al primo allenamento va da Zorzi e chiede: “Coach, questo è più basso di me e non salta mai”. Il Paron sorride:

“Guarda il tronco, guarda la posizione, guarda le braccia, tutto quello che finisce nel suo cilindro è suo, che salti o meno”

Andrà così, Smith tirerà giù 11.2  rimbalzi a sera, ci aggiungerà 22.5 punti (con il 64% dal campo) e 2 assist e infiocchetterà una stagione estremamente solida e Sbaragli…diventerà suo compagno di stanza e grande amico. “E’ vero, le prime impressioni non furono positive per nessuno di noi – racconta Paolo Pepe – era lontanissimo dallo stereotipo di americano cui eravamo abituati, gente atletica e spettacolare. E invece si rivelò un giocatore importante, terribilmente concreto e con una grande etica del lavoro. Credo non abbia saltato un allenamento”.

smith-vs-cantu
E in partita va anche meglio, Smith ne mette 32 all’esordio contro Fabriano e Mark Crow, ne aggiunge 26 con Livorno alla 3^ e ne segna altrettanti alla 6^ contro la Simac Milano, sconfitta in rimonta 98-87 al Mario Argento. All’ottava giornata il record della Mu-lat è 6-2, arrivano due sconfitte al fotofinish con Pesaro e Fortitudo (30 e 34 per Smith) poi altre due vittorie per mantenere la rotta delle big: il 6 gennaio 1985 a Fuorigrotta arriva la JollyColombani Cantù, è la squadra dell’ex Laker Jim “pantera” Brewer, di Marzorati e Antonello Riva, che a 22 anni marcia già a 25 di media. Vengono schiantati. 121-104 il risultato finale, con i centoventuno, fissati sul tabellone da una poderosa schiacciata di Smith, che rappresentano tuttora un passivo record per i brianzoli.

E a proposito di record, Napoli manda Cordella (che anno quell’anno, clamoroso), Sbaragli e Gelsomini in doppia cifra, ha 28 punti da Costner e… 44 da Mark Smith. Già, quarantaquattro, in maglia azzurra quella quota l’aveva valicata solo Lee Johnson: 47 contro la Virtus Bologna nel gennaio dell’anno prima, 10 anni dopo  Zdravko Radulovic ne metterà 52 in A2 contro Rimini. Rowan, Berry, Greer e Simpson? Seguono. “Era un giocatore silenzioso – ricorda Max Antonelli, che di quella squadra era capitano – non era un grande atleta ne un gran tiratore ma faceva bene le sue cose, era tremendamente efficace e molto difficile da marcare. Quasi non lo vedevi, poi alla fine guardavi il tabellino e ci trovavi il suo 20+10. Era un ragazzo tranquillo, dubito abbia mai avuto problemi con i compagni. A Napoli stava bene”.

La stagione va avanti, e a Napoli c’è entusiasmo: la Mu-lat vince anche a Livorno e con Trieste presentandosi alla 20^ giornata con un bilancio di 12 vittorie e 7 sconfitte ed un 4° posto alle spalle di Torino (3^), Milano e Roma (prime a pari merito). E’ proprio il Bancoroma l’avversaria degli azzurri domenica 27 gennaio, il Mario Argento trabocca di passione dentro e fuori, secondo le cronache dell’epoca sono circa 2000 le persone che premono ai cancelli per entrare nonostante il sold-out.

Smith al BarcellonaE’ il crocevia di una stagione, Napoli la perde (82-83) dopo averla quasi vinta, tra le polemiche sull’arbitraggio (out Costner per falli al 34′, c’è un fallo nettissimo sull’ultima penetrazione di Gelsomini che non viene fischiato) e quelle sulle scelte di Zorzi che negli ultimi 13″ della partita per ben due volte rinuncia ai liberi (si poteva fare commutando l’1+1 con una rimessa). Qualcosa nell’orologio azzurro si rompe, arrivano in sequenza altri tre KO con Milano, Varese e Rimini e l’obiettivo si sposta dai vertici ad una qualificazione playoff. Pratica rimandata all’ultima giornata, quando il calendario prevede il derby di Caserta: non serve la calcolatrice, non contano le altre gare, chi vince va avanti, chi perde resta fuori. I 40′ regolamentari finiscono 87-87, con Riccio Ragazzi che infila sulla sirena la tripla del supplementare facendo esplodere lo spicchio azzurro del PalaMaggiò. Nell’overtime è testa a testa fino al 103-101 che manda ai play off Caserta. Oscar ne firma 37, Smith “solo” 23. E’ il 28 marzo 1985, e la stagione dei Napoli Basket è già finita. Quella di Mark però è stata importante, la conferma sembra scontata anche perchè De Piano gli ha fatto firmare uno dei suoi famosi contratti. In pratica il club può rinnovarlo automaticamente (e unilateralmente) aumentandogli l’ingaggio del 15%, e lo fa. Agli uffici di via Cervantes però arriva la telefonata del Barcellona. Coach Aito Reneses, appena assiso sulla panchina catalana, vuole Smith. Si tratta sul buy-out, all’ingegnere vanno 25mila dollari e Mark prende il primo volo per El-Prat. “Quella chiamata fu il sigillo di una stagione clamorosa – ricorda Mario Canfora, giornalista della Gazzetta dello Sport – il campionato italiano era un riferimento importante in Europa ma quello era il Barcellona che si stava consacrando in Europa. Non c’era internet, vennero a vederlo qui e se lo portarono in Catalogna”.

E’ il Barca di Juan Antonio San Epifanio, che ri-vince la Coppa delle Coppe, eliminando in semifinale il CSKA dei giganti e giocandosi il titolo con la Scavolini Pesaro. Gara secca e campo neutro, si gioca al… PalaMaggiò di Caserta dove Mark, 355 giorni dopo l’ultima sfortunata visita, alza al cielo il primo trofeo della sua carriera al termine di una partita mai in discussione (101-86) e di una solida prestazione personale (22 punti con 9/9 al tiro uscendo dalla panchina). Negli spogliatoi dell’impianto di Castelmorrone incrocia Stefano Prestisimone, inviato de Il Giornale di Napoli, lo riconosce e gli chiede di Napoli, di una città che gli manca tanto e in cui vorrebbe tornare. “Aveva appena conquistato la prima vittoria della sua carriera ma voleva sapere come andasse la Mu-lat – racconta oggi Stefano -. Era consapevole di aver giocato qui da noi la sua miglior stagione in carriera, ma del resto era tutta la squadra che l’anno prima aveva superato ogni aspettativa giocando al di sopra delle proprie possibilità. Il passing game di Zorzi era perfetto, e aveva esaltato anche le caratteristiche di Smith”. Che voleva tornare dunque, e tornerà: chiude la stagione spagnola con 17.3 punti e 4.5 rimbalzi, ma il Barca perde la finale scudetto con il Real e coach Aito è già pronto ad una nuova rivoluzione: naturalizzato Trumbo arrivano Wally Bryant (che rivedremo anche qui) e Kenneth Simpson. Mark lascerà comunque un buon ricordo oltre al gossip di un flirt con Paula McGee, stella americana del Girona e zia di JeVale, centro dei Warriors.  Ancora Napoli dunque, anche se lo scenario è decisamente cambiato: l’aveva lasciata ad un canestro dai play off, la ritrova in A2 col Tau in panchina, il “marine” Bonamico compagno di reparto e Russell Cross come secondo americano. Sarebbe la sesta scelta assoluta dei Golden State Warriors al Draft del 1983, poi sdoganata in CBA. De Piano lo ha  pescato lì per riconquistare la A1, ma durerà solo 11 partite prima che un ginocchio malconcio comprometta la sua stagione partenopea. Al suo posto arriva un usato sicurissimo, Marcellus Starks, ma la corsa dell’Alfasprint sarà un continuo saliscendi. Smith? A casa. “Di lui ho un ricordo splendido – dice oggi Giovanni Dalla Libera, che se lo trovava contro ad ogni allenamento e che di americani sul suo cammino ne incontrerà tanti – un bravissimo ragazzo che non approfittava mai del suo status. Giocatore intelligente con una gran mano dai 4 metri e con uno straordinario senso della posizione a rimbalzo, mi aiutò tantissimo in quello che era il mio primo anno a Napoli”.

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L’Alfasprint chiude la stagione regolare con 17 vittorie e 13 sconfitte, 34 punti che valgono il 5’ posto e la qualificazione  ai Play Out: le principali avversarie degli azzurri nel girone Giallo sono Yoga Bologna e Cantine Riunite Reggio Emilia, le due squadre che arrivano dall’A1. Il calendario, impietoso, le incrocia con Napoli nelle ultime due, decisive partite. Gli azzurri espugnano Reggio (88-92) alla 9^ e con la Fortitudo  diventa una vera e propria finale. Anche stavolta, come due anni prima a Caserta, non contano gli altri risultati ne i distacchi: chi vince, va in A1 (o ci resta nel caso dei bolognesi). E’ il 26 aprile 1987, il Napoli nel pomeriggio ha sconfitto il Milan 2-1 (Carnevale-Maradona) ipotecando il suo primo scudetto. Al Mario Argento arriva anche Diego, che con migliaia di tifosi ha percorso i 2km che dividevano lo stadio dall’impianto di via Giochi del Mediterraneo. E’ la Effe dei fratelli Douglas, Leon e John, e dell’imprendibile George Bucci, la partita è un susseguirsi di sorpassi ed emozioni, ma è Napoli a spuntarla. Finisce 97-93, è trionfo.

Napoli dunque torna in A1, Smith no. Per lui, che ha chiuso con 20.4 punti, 7.4 rimbalzi, 2.6 recuperi e il solito, abbondante 60% al tiro, c’è la chiamata di Rimini. Resterà sull’adriatico per tre stagioni, ci chiuderà di fatto la carriera prima di tornare a casa nel 1990. A Peoria, dove tutto era iniziato e tutto è poi finito quel 27 giugno del 2001. Quel giorno Mariah Cherice, sua figlia, aveva 7 anni. Del suo papà le hanno raccontato amici e parenti, gli hanno detto di come il suo lato oscuro abbia alla fine prevalso su una persona di buon cuore ma forse troppo debole. Anche lei è andata a Richwoods, in 4 anni ci ha segnato 1897 punti. Poi però ha scelto Princeton dove ha continuato a giocare con le Tigers e si è laureata in Ingegneria Meccanica e Aerospaziale specializzandosi in Robotica. “Voglio diventare ingegnere bio-meccanico – ha detto qualche tempo fa in un’intervista – . E’ a loro che dobbiamo tutti i macchinari che ci sono negli ospedali, le protesi che migliorano la vita della gente. Io sono come mia madre (Solivian Furness è un infermiera n.d.r.), voglio aiutare le persone, salvare delle vite”. E il cerchio si chiude.

 

Mariah Smith. iImagine tratta da http://blogs.pjstar.com/eye/2011/03/23/a-chip-off-the-ol-block/
Mariah Smith (immagine tratta da http://blogs.pjstar.com/eye/2011/03/23/a-chip-off-the-ol-block/)