Esattamente alle ore 15 il nemico deve essere schiacciato dalla feroce carica del vostro assalto, dalle vostre bombe e baionette. L’onore di Belgrado la nostra capitale deve essere brillante. Soldati! Eroi! il commando supremo ha cancellato il nostro reggimento dal suo elenco. Il nostro reggimento è stato sacrificato per l’onore di Belgrado e della Patria. Voi non dovrete più temere per le vostre vite, loro non esistono più. Pertanto avanti nella Gloria! Per il Re e la Patria. Viva il Re ! Viva Belgrado!
Sette ottobre 1915. Quel giorno, quel pomeriggio, Dragutin Gavrilovic, giovane generale dell’esercito serbo, con poche parole toccò il cuore dei suoi uomini. Era al comando del secondo battaglione, con loro c’erano gli uomini della gendarmeria belgradese e circa 300 volontari. Contro di loro c’erano l’intero esercito austro-ungarico e quello germanico, respinti per giorni alla confluenza di Danubio e Sava. Fu resa, inevitabile, dopo giorni di intensa battaglia. Il generale e i suoi reduci ne uscirono malconci ma a testa alta e con l’onore delle armi, il nemico prese la città ma lasciò sul campo oltre 10mila uomini.
102 anni dopo, alla vigilia della Final Four di Montecatini, Njegos Visnjic ha indirizzato ai suoi compagni quello stesso discorso, quelle stesse parole. Ha parlato di paura e di sacrificio, di onore e gloria. Di bombe e baionette. Oggi ci scherza su, “cose da serbi” dice, ma la verità è che il parallelo tra il Reggimento di Ferro del Generale e il suo Cuore Napoli Basket gli piace, e la verve battagliera torna potente quando si ritrova a pesare le parole.
“Miracolo? C’è una città intera che ha riconosciuto il valore di questo gruppo e del suo gioco. E del suo lavoro, un lavoro da uomini veri. Se avessero voluto assistere ad un miracolo sarebbero andati da San Gennaro, non sarebbero venuti a Fuorigrotta, a Casalnuovo e a Montecatini”.
Chiaro?
Già, Montecatini. La battaglia decisiva. La sconfitta con Orzinuovi, la vittoria su Bergamo. In mezzo 24 ore di pensieri, 24 ore da uomini. “Toccava reagire, rialzarsi e combattere, avevamo lavorato tanto per arrivare fin là, non potevamo arrenderci sul più bello, lasciarci andare alla delusione – dice serio -. E poi erano solo 19 ore…praticamente non abbiamo avuto neanche il tempo di pensare a cosa ci stava succedendo”. E torna a sorridere.
E’ così Njegos Visnjic, è uno che ti spiazza, ti sorprende sempre. Anche in campo. A 44″ dalla fine, con Napoli a +2, ha realizzato con grande naturalezza il giro e tiro del 61-57, 31″, 2 liberi di Berti ed un time out dopo dopo ha preso la stessa posizione, ha aspettato che Rei Pullazi, il suo difensore, gli mettesse le mani addosso e l’ha bucato andando al ferro per il più facile dei canestri. Quello della Serie A. “Era il mio momento, il capitano (Maggio ndr) voleva me, continuava a venire da me. In coppa aveva deciso lui, stavolta probabilmente toccava al suo fratello maggiore. Era la mia serata, e quelli erano i palloni giusti nelle mani giuste. Il canestro decisivo? E’ vero, sono momenti particolari in cui la palla pesa il doppio. Ma molti sottovalutano che in quegli stessi momenti la tensione attanaglia anche il difensore. Lui aveva difeso bene prima, mi aveva spinto e io avevo perso la palla. Stavolta ho usato la sua energia per girarmi e fare due punti facili”.
“Gli è andata anche bene, normalmente quelli che spingono io li faccio cadere”.
Bomba e baionetta. Così.
Visnjic sorprende dicevamo, a volte anche se stesso. A 38 anni suonati ha prodotto una stagione da 16.9 punti, 7.8 rimbalzi, diventanti 18.7 + 12.7 nei play off e 31 + 13 nella partita decisiva contro Bergamo, ma ad agosto non era poi così convinto di poter fare la differenza anche in B. “Io no, non me l’aspettavo una stagione così. Era la prima volta, dal di fuori avevo visto squadre e giocatori forti, anche la Agropoli che era arrivata alle Final Four 4 anni fa. Non pensavo di poter essere così incisivo. Però gli altri mi dicevano di sì, continuavano a dirmi che Visnjic in questa categoria ci stava tutto, che poteva dare una grossa mano. Alla fine mi hanno convinto.
I numeri? Essere nei primi 5 per valutazione e punti realizzati fa piacere, quello che conta però è essere stato utile alla mia squadra, e non lo dico per piaggeria. Quello che conta è vincere, e per vincere la squadra deve funzionare oltre i numeri dei singoli giocatori”.
E se lo dice lui tocca credergli. Da Melfi, prima tappa del suoi tour italiano, ad Agropoli ha vinto 7 campionati tra D e C, passando da San Severo, Foggia, Lucera, Trino Vercellese, Novara, Meda, Benevento e Maddaloni. Quella conquistata con Napoli è l’ottava meraviglia di Visnjic, chissà se ai tempi del Radniki la sua carriera l’aveva immaginata così. “E’ stato un bel viaggio, ho conosciuto tanti posti nuovi, tanta gente, compagni, allenatori, sono 2 giorni che mi tengono al telefono con auguri e complimenti. Ho sfiorato il mondo dei professionisti più volte, mi sono allenato a Livorno, Casale, Roseto, Varese, ho giocato 8 partite in A2 con Novara, ma non ho rimpianti. Sono felice di quello che ho fatto, felicissimo di quello che abbiamo fatto”.
E di quello che può ancora fare?
“Mi godo il momento, per il resto vedremo”. Toccherà convincerlo anche stavolta.
(Foto di Pierfrancesco Accardo. E’ vietata la riproduzione)