Domenica 19 Febbraio 2006, Finale contro Roma, Citta.
Un attimo sei carico a mille, un altro hai l’umore sotto i piedi. E’ vero, in quella Carpisa eravamo tutti coinvolti, ognuno di noi sapeva che prima o poi avrebbe dato il suo contributo che entrasse in quintetto o uscisse dalla panchina… ma io con Milano non ero riuscito ad incidere, con Treviso 4 falli in 10 minuti, non ero proprio entrato in partita. In una competizione come le Final 8 di Coppa Italia, che vivi con la valigia pronta giocando ogni partita come se non ci fosse un domani, capita di vivere sbalzi d’umore e io negli spogliatoi, dopo la vittoria sul Benetton, ero a terra.
A 27 anni ero nel pieno della mia carriera, Napoli su di me aveva puntato tanto, nel 2003 quando ero reduce dagli Europei di Svezia ero stato probabilmente il primo grosso investimento italiano del club e lì, a Forlì, non ero ancora riuscito a giocare come avrei voluto, a partecipare a quella che si stava delineando come un’impresa.
Piero Bucchi mi si avvicinò, lo ricordo come fosse ora, e mi disse:
“Citta, questa partita è finita, non conta più. E domani ce n’è un’altra”
Era vero, l’indomani ce n’era un’altra, ed era la finale.
Nella mia carriera avevo già giocato con la Fortitudo Bologna, poi con Reggio Emilia, Livorno, Reggio Calabria e Teramo, e avevo già almeno 50 presenze in nazionale, ma in quei contesti il mio ruolo era sempre stato più marginale, in quella Carpisa mi ero conquistato minuti e fiducia e a Forlì dovevo e volevo meritarmeli.
Con Roma l’atmosfera era elettrica, in 3 giorni avevamo visto spesso e volentieri il PalaFiera cambiare colore, ma il giorno della finale sembrava tutto azzurro. I nostri tifosi erano tutti lì, avevi l’impressione di giocare in casa.
Andai a saltare con Tusek e giocammo noi il primo possesso, Jon segnò subito da tre punti, poi segnarono loro e sul nostro secondo attacco, dopo un errore di Morandais, Lynn mi pescò tutto solo sotto canestro. In quella schiacciata ci ho messo tutta la rabbia che avevo in corpo. Ero pronto, ero lì.
Quella partita fu davvero intensa, sorpassi, fisicità, si lottava su ogni pallone. E per noi lunghi c’era il rebus Bodiroga su cui aiutare, sempre. Vivemmo un finale al fotofinish, poi fu supplementare e a quel punto, dopo 3 giorni di battaglie, si giocava sul filo dei nervi. Piero mi rimandò in campo dopo un minuto al posto di Ansu Sesay, fuori per falli, 3′ dopo Hawkins tagliò di netto la nostra area e andò a segnare (77-80) subendo fallo da Rocca. Era il quinto anche per lui, l’americano di Roma sbagliò il libero aggiuntivo e saltai io a rimbalzo.
Avevamo 3 punti di vantaggio ad un minuto dalla fine, Lynn gestì il possesso con pazienza poi andò dentro e scaricò in angolo a Larranaga. La difesa di Roma così come si era chiusa attorno a lui si riaprì, il tiro di Jay finì però sul ferro e… e sì, ricordo tutto come se la stessi rigiocando ora. Girai attorno a Tusek e andai su con due mani sul rimbalzo, portai la palla giù con me difendendola coi gomiti e poi tornai su per appoggiarla al tabellone. Era il +5 a 40″ dalla fine, non so se sia stato il canestro più importante della partita, sicuramente è stato quello più importante della mia carriera.
40 secondi dopo eravamo in campo, tutti. Noi, i nostri amici, i nostri tifosi. Non so se sia mai successo, una festa incredibile, una gioia che non cancellerò mai dalla memoria.
Foto di Alfredo De Lise. E’ vietata la riproduzione.
*
38 anni lo scorso gennaio, il “Citta” gioca ancora, eccome. A giugno scorso è stato tra i protagonisti della promozione in A1 di Brescia, a dicembre è tornato giù firmando con Trieste che viaggia a gonfie vele verso i play off e che a Marzo si giocherà la Coppa Italia di A2 alle Final Eight di Bologna. In bocca al lupo Ale, tanto sai come si fa…