Manfredo, da Barra col tram. E quella Napoli sul tetto d’Europa
“La verità è che eravamo più forti l’anno prima. C’era Paolo Vittori, giocatore universale, tiratore eccezionale e uomo di grande carisma, e poi c’era Joe Franklin, il fenicottero. Giocava una pallacanestro tutta sua impossibile da irretire negli schemi, spiccava dei balzi prodigiosi e raggiungeva altezze siderali. Era immarcabile. Eravamo più forti, dicevo, eppure perdemmo.
Due a zero a tavolino, perchè allora funzionava così: erano i quarti di finale e dopo aver eliminato l’ostico Steaua Bucarest ci capitò il Panathinaikos, potenza emergente del basket europeo. A Fuorigrotta non ci fu partita, vincemmo 98-61 con 36 punti di Franklin in un Mario Argento gremito, in cui però notammo una foltissima rappresentanza di tifosi biancoverdi. Erano i tanti studenti greci iscritti all’Università di Napoli, si fecero vedere e sentire e a fine partita alcuni di loro sibilarono che quel +37 ad Atene sarebbe stato ribaltato. Che non sarebbe bastato.
Che sarebbe stata durissima lo capimmo appena atterrati in Grecia. Zorzi volle fare allenamento e arrivammo allo stadio Olimpico: il rettangolo di gioco era in asfalto, si giocava all’aperto e i sostegni dei canestri erano in cemento. E in quell’arena, che aveva tenuto a battesimo le Olimpiadi moderne nel 1896, potevano entrare fino a 70mila persone. Quella notte fu difficile dormire, dovemmo chiamare la polizia perchè sgombrasse dai tifosi ellenici la strada davanti all’hotel. Arrivammo al campo per giocare il giorno dopo e le 70mila persone erano già tutte lì (25.000 ufficiali n.d.r.): ci fecero entrare nell’arena attraverso un sottopassaggio, come fossimo gladiatori, mentre la gente da sopra ci tirava addosso di tutto. Una volta dentro, lasciarono accese solo le luci dirette sul campo e spensero tutte le altre, mentre uno stuolo di fotografi prendeva posizione sotto il canestro dove avremmo attaccato noi. Ogni tiro era un flash, il povero Williams era furioso, e noi con lui. Era frustrante, perdemmo anche Vittori che fu espulso per aver tirato in ballo la Madonna, l’arbitro turco si fece il segno della croce e lo cacciò via. Sembra una barzelletta, lo so, ma vi assicuro che quella sera non faceva ridere. Quando Zorzi provò ad alzarsi per protestare, o anche solo per chiedere una sospensione, fu rimesso a posto con autorità dai militari. Dietro la nostra panchina c’erano i Colonnelli del regime.
Noi comunque ce la giocammo, o almeno ci provammo, solo che a guardare il tabellone sembrava che non segnassimo mai, mentre i loro canestri pareva valessero doppio. All’intervallo secondo i nostri conti eravamo sotto di 11, 39-28, secondo il referto arbitrale invece eravamo a -35, 51-16. Provate a tirare le somme e vedrete che vi troverete. Enzo Caserta, il nostro dirigente, provò a protestare con il commissario di campo e con mister Renato William Jones, il segretario della FIBA, ma per loro stava andando tutto secondo normalità. Rientrammo negli spogliatoi tra gli sputi dei tifosi greci, e qualcuno cominciò a meditare l’ipotesi di abbandonare la partita, di tornarcene a casa. Questa cosa non so come fece subito il giro dell’arena e ben presto ci ritrovammo assediati. Era davvero troppo, Jim Williams prese una sedia e la tirò contro uno specchio, quindi recuperò una lastra di vetro e disse che era pronto ad affrontare chiunque gli chiudesse la strada; Franklin tirò fuori il coltello a molletta che portava sempre con sé e fu ben felice di andargli dietro ma per fortuna nessuno ebbe il coraggio di pararsi davanti a loro. Ci ritirammo, la Fiba ci sanzionò e il Panathinaikos passò in semifinale. Fu una pagina nera, ma vi posso garantire che quelli che rimasero in squadra l’anno dopo da quell’ingiusta sconfitta riuscirono a trarre delle motivazioni supplementari.
E già perchè l’anno dopo eravamo di nuovo in gioco per la Coppa delle Coppe, dopo aver sancito una platonica pace con un’amichevole voluta fortemente dalla FIBA. Al posto di Franklin era arrivato dal Real Madrid Miles Aiken, giocatore elegante ed esperto che a Napoli sarebbe rimasto anche a fine carriera, come allenatore. Al primo turno annientammo il Benfica senza neanche sudare, e noi giovani avemmo minuti ed opportunità per farci notare. Segnammo 102 punti all’andata e 120 al ritorno, ma sapevamo bene che al secondo turno sarebbero entrate in gioco le teste di serie, e che non sarebbe stato più così semplice.
Al sorteggio beccammo il Maccabi di Haim Starkman, a Tel Aviv perdemmo di 7 ed ebbi l’onore di marcarlo guadagnandomi i complimenti di Zorzi. A Napoli faticammo un po’ a trovare il ritmo giusto, ma dopo un primo tempo equilibrato nella ripresa volammo via vincendo di 29.
Ai quarti di finale ci capitò il Lokomotiv di Zagabria, l’attuale Cibona, la squadra di coach Mirko Novosel e della stella Plecas, un realizzatore eccezionale. Vincemmo a Zagabria (80-89) con una grande prestazione di Remo Maggetti e poi li annientammo a Fuorigrotta (102-84) dopo aver chiuso la contesa già alla fine del primo tempo (57-33).
Eravamo in semifinale, un anno dopo, e di fronte a noi avevamo i giganti sovietici della Dinamo Tbilisi che l’anno prima avevano giustiziato il Panathinaikos per poi perdere la finalissima con lo Slavia Praga.
Giocammo la gara d’andata in casa davanti ad oltre 8000 persone, con Jim che dominò sotto i tabelloni (31 punti), e chiudemmo con un +17 da gestire in URSS. Arrivammo lì facendo scalo a Mosca e poi imbarcandoci su un aeroplano ad elica, c’erano oltre 20 gradi sotto zero. A Tbilisi non aveva mai vinto nessuno, noi conducemmo sin dai primi minuti, Aiken spiegò pallacanestro, io segnai 4 punti e chiudemmo con una storica vittoria per 88-83 che ci proiettò in finale.
Per la quale sembrava scontato che saremmo dovuti tornare ad Atene, stavolta per affrontare l’Aek. E invece dall’altra semifinale venne fuori il Vichy, che vinse di 18 in Francia e che poi riuscì a contenere la sconfitta al Kallimarmoron ad appena 9 punti. Ce la saremo giocata con loro, e sarebbe stata la prima volta per entrambi.
Con la scuola finivo intorno alle 17, alle 17.30 andavo a prendere il tram, il #4, che mi portava da Barra, il mio quartiere, a piazza Vittoria. Lì mi prendeva in consegna Angori che mi portava in auto fino al Mario Argento per l’allenamento delle 18.30. Appena finito, correvo a fare la doccia perchè Gavagnin e Maggetti, che in palestra arrivavano direttamente dalla Ignis dopo 8 ore di lavoro, mi davano un passaggio fin sulla residenziale da dove poi tornavo a casa a piedi. ‘Filibè fai presto’ mi dicevano, chiamandomi con il nome di mio padre che era sindacalista in azienda. Questa è stata la mia routine nei miei primi anni in Partenope, fino a quando ho preso la patente almeno. Ogni giorno. Immaginate cosa posso aver pensato quando ci fu comunicato che in Francia ci saremo andati con l’aereo personale di Borghi. Lo trovammo in pista a Capodichino, con il pilota che ci aspettava, e volammo a Nizza. Il commendatore aveva preso un intero albergo a Beaulieu, a due passi da Saint-Jean-Cap-Ferrat, solo per noi e per il suo entourage, fatto di amici e personaggi del mondo della finanza. C’era anche la bellissima Ljuba Rizzoli. Quando arrivammo il ‘cumenda’ ci regalò dei gemelli d’oro e volle che li indossassimo con la divisa.
A Vichy, il 15 aprile del 1970, giocammo alla Salle des Ailes, una specie di hangar in cui erano stipate circa 2000 persone. La partita fu equilibrata, loro erano trascinati da Rudy Bennett, un’ira di Dio, noi perdemmo Antonio Errico per falli a metà ripresa ma alla fine non cedemmo e chiudemmo con appena 4 punti di scarto da recuperare a Napoli.
Undici giorni dopo, il 26 aprile, al Mario Argento eravamo in 12mila. Tutti convinti di potercela e dovercela fare. C’erano calciatori, politici, gente dello spettacolo, persino i bagarini. Mancava solo il commendatore a cui però avevamo promesso il trofeo. C’era un frastuono assordante, scendemmo in campo con la consapevolezza di dover vincere a tutti i costi, e fu una cavalcata trionfale. Dominammo, alla fine del primo tempo eravamo già a +20 e il Vichy aveva già capito che non c’era davvero più nulla da fare. Vincemmo 87-65, avevo vent’anni, segnai 4 punti e mi sentii l’uomo più felice del mondo. Avevo vinto un Coppa, e l’avevo fatto nella mia città, davanti alla mia gente, e con me Renato Abbate, Vincenzo e Antonio Errico, Leo Coen, un nucleo di napoletani per cui quel successo valeva doppio. Travolto da quella festa, da tutte quelle emozioni, mi vennero i brividi. E ce li ho ancora”.
FINALE 1 – 15 aprile 1970
JA Vichy (coach: Dorde Andrijasevic): Paul Besson 6, André Jacquemot 8, Larry Robertson 22, Rudy Bennett 24, Alain Schol 2; Paul Brousse 2, Georges Ithany dnp, Robert Chapuis dnp, Pierre Buisson dnp, xxx Laux dnp, Michel Gardès dnp, Pierre Laurent dnp. Ft 6/12.
AP Fides Partenope (coach: Tonino Zorzi): Carlos d’Aquila 8, Remo Maggetti 10, Sauro Bufalini 4, Miles Aiken 8, Jim Williams 17; Francesco Ovi 6, Antonio Errico 7, Renato Abbate, Leonardo Coen dnp, Giovanni Gavagnin dnp, Manfredo Fucile dnp, Vincenzo Errico dnp. Ft 6/10.
FINALE 2 – 26 aprile 1970
AP Fides Partenope (coach: Tonino Zorzi): Carlos d’Aquila 8, Remo Maggetti 24, Sauro Bufalini 12, Miles Aiken 19, Jim Williams 15; Giovanni Gavagnin 2, Francesco Ovi 1, Manfredo Fucile 4, Antonio Errico 2, Leonardo Coen, Vincenzo Errico, Renato Abbate dnp. Ft 17/24.
JA Vichy (coach: Dorde Andrijasevic): Paul Besson 8, André Jacquemot 5, Larry Robertson 9, Rudy Bennett 28, Alain Schol 14; Pierre Buisson 1, Paul Brousse, Michel Gardès, Robert Chapuis dnp, Georges Ithany dnp, Pierre Laurent dnp. Ft 9/16.
Jones: Renato William Jones, nato a Roma nel 1906 e morto a Monaco di Baviera nel 1981, è stato fondatore e Segretario Generale della FIBA per 44 anni dal 1932 al 1976. Era ad Atene il 6 marzo del 1969 e per lui non successe nulla di strano al Kallimarmoron. Circa 3 anni dopo, a Monaco di Baviera, intervenne nella finale olimpica tra USA e URSS mentre gli americani già festeggiavano la loro 8^ medaglia d’oro di fila nel basket. Jones ascoltò le proteste dei russi e fece ripristinare sull’orologio prima un secondo e poi tre. Quelli che bastarono ad Aleksandr Belov per ricevere un passaggio lungo, districarsi tra due difensori che andarono giù come birilli, e firmare il canestro del 51-50 URSS. Gli USA, imbufaliti, non andarono neanche a ritirarla quella medaglia d’argento, lui glissò algido dicendo che gli americani “dovevano imparare a perdere, anche quando pensavano di avere ragione”.
Vichy:
Nel 2015 a Vichy hanno celebrato quella finale persa che ha comunque rappresentato il picco più alto della loro storia sportiva. Ricordandola. “Quando siamo entrati nel palazzo ci siamo resi conto che non potevamo vincere” – ha detto ridendo Paul Brousse. “Nella gara di ritorno – ha ribadito Robert Chapuis – arrivammo a Napoli e scoprimmo che si sarebbe giocato davanti ad oltre 10mile persone. E lì … pffff. svanì il nostro sogno”.
“Sembrava di stare all’interno di un tamburo – ha ricordato André Jacquemot – un’impressione incredibile”.
“Io ero stordito – ha aggiunto Paul Besson – e gli italiani hanno fatto il resto. Ci hanno portato venti punti sotto al primo tempo e a quel punto la partita era finita, non sapevamo più neanche cosa dire o fare”.
Fucile: Manfredo Fucile ha vestito la maglia della Partenope fino al 1977. E’ attualmente Docente di Metodologia e Tecnica della Pallacanestro alla Facoltà di Scienze Motorie dell’Università Parthenope di Napoli e Presidente del Consiglio Regionale della Campania della Federazione Italiana Pallacanestro.